Dignità e libertà dell’immagine: Gian Butturini oltre l’ottusità della “cancel culture”

Marco Dotti
4 min readNov 17, 2020

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La vicenda ha fatto discutere, ma è bene ricapitolarla. Maggio 2019: una studentessa inglese si imbatte chissà come in due fotografie scattate da Gian Butturini.

Chi è Gian Butturini? Un fotografo, un reporter, un artista, un uomo libero che ha pagato il prezzo della sua libertà: il Cile, l’Irlanda, battaglie sociali, culturali, sindacali in quel “mondo degli ultimI” che è anche il titolo di un suo meraviglioso film.

Gian Butturini

Che cosa accade, dunque, quando la giovane inglese si imbatte, probabilmente in rete, saltando da istagrama e twitter, negli scatti di London, fotoreportage che Butturini realizzò nel 1969? London è un libro introvabile, un oggetto da collezione: Martin Parr, un maestro della fotografia, decide di ristamparlo. E qui nascono i guai, perché sono i giorni della oramai cancellata cancel culture e, decontestualizzando e ricontestualizzando a colpi di tweet, la giovane denuncia un razzismo che vede solo lei. La shitstorm monta, il fango avanza e, a colpi di appelli, ottiene che il libro venga ritirato dal commercio.

Gian Butturini, London

Oggetto del suo sdegno: l’immagine di una donna di colore che vende i biglietti della metropolitana e quella di un gorilla in gabbia, “che riceve con dignità imperiale sul muso aggrottato le facezie e le scorze lanciategli dai suoi nipoti in cravatta” come scrisse lo stesso Butturini oltre cinquant’anni fa.

«Ho fotografato una donna nera, chiusa in una gabbia trasparente; vendeva biglietti per la metropolitana: una prigioniera indifferente, un’isola immobile, fuori dal tempo nel mezzo delle onde dell’umanità che le scorreva accanto e si mescolava e si separava attorno alla sua prigione di ghiaccio e solitudine » Gian Butturini, London (1969)

Dopo aver definito l’edizione del 1969 di London un “gioiello trascurato” da riportare all’attenzione del grande pubblico sollecitandone la ristampa, di fronte a un’opinione pubblica impazzita, nel luglio del 2020 Parr ammette una presunta connotazione razzista nell’accostamento delle due immagini incriminate, si scusa pubblicamente, si dimette dalla direzione artistica del prestigioso Bristol Photo Festival e chiede la messa al macero del volume.

I media insistono, il web esplode. Ma nessuno va oltre. Eppure, bastava guardarle le fotografie di Gian Butturini. Bastava guardare il volto di quegli ultimi a cui ha dato volto. Così scriveva: “Ho fotografato una donna nera, chiusa in una gabbia trasparente; vendeva biglietti per la metropolitana: una prigioniera indifferente, un’isola immobile, fuori dal tempo nel mezzo delle onde dell’umanità che le scorreva accanto e si mescolava e si separava attorno alla sua prigione di ghiaccio e solitudine”.

Ora la bella notizia: Tiziano e Marta, figli di Gian , hanno ottenuto la restituzione delle copie ritirate dal mercato e destinate al macero e iniziano una nuova battaglia: quel lavoro, come tutto il lavoro di Butturini, è nel segno della dignità e della libertà dell’immagine. London è una testimonianza preziosa: uno sguardo che non ha mai aggiunto orrore all’orrore. Uno sgurdo capace di una pietas oggi rara.

Scriveva Butturini, commentando i suoi giorni a Londra: “Camminavo nella notte per le strade deserte di Richmond senza un perchè, dopo aver sperimentato la cucina dell’hotel, tipicamente inglese, fish & chips, un piatto che si trova ovunque e che suggerisce i rigori dell’ultima guerra mondiale. La metropolitana londinese è un grande palcoscenico. La vita, la morte, l’amore si rincorrono per i tubes che portano alle stazioni, dove ad ogni arrivo di treno, c’è un ricambio di situazioni. A Earls Court mi attrasse la figura imponente di un “Gesu’ nel tempio”, con la tunica bianca e i capelli biondi sulle spalle, che scendeva dalla scalinata di ferro con aria solenne”.

Dare un volto ai volti. Sottrarre, senza aggiungere orrore questa è la fotografia densa di pietas e coraggio di Gian Butturini.

Originally published at http://www.vita.it on November 17, 2020.

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Written by Marco Dotti

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