Le due culture: archeologia di un dibattito
«Sono convinto che la vita intellettuale, nella società occidentale, si va sempre più spaccando in due gruppi contrapposti». Così scriveva P.C. Snow nel suo celebre saggio Le due culture (ed. originale 1959).
Snow ricorda che la vita intellettuale costituisce «gran parte della nostra vita pratica». La sua previsione? La divisione tra cultura umanistica e scientifica crescerà col succedersi delle generazioni. Indipendentemente dai progressi e dall’alfabetizzazione scientifica.
Un fattore chiave? La cultura umanistica cresce a una velocità minore rispetto a quella scientifica, ampliando così il divario. Un ulteriore elemento, non considerato da Snow, è il deupaperamento interno della cultura umanistica.
Questo processo, spingendo avanti il pensiero di Snow, ha consegnato uno spazio alle forme di pseudocultura e pseudo-scienza che oggi conosciamo.
Ludovico Geymonat, nel prefare l’edizione italiana del libretto, sottolinea un aspetto cruciale: i rapporti uomo-mondo. «Proprio qui — osserva Geymonat — sembra celarsi il nocciolo della questione. Se l’uomo potesse venir compreso in se stesso, prescindendo dai suoi rapporti col mondo allora l’umanesimo tradizionale avrebbe perfettamente ragione di sostenere che la vera cultura non ha nulla a che fare con la ricerca scientifica. Se invece l’uomo non può venire studiato al di fuori del mondo in cui vive ed opera, allora la ricerca scientifica — anche la piú specialistica — che arricchisce giorno per giorno la nostra conoscenza dei processi naturali e ci rende vieppiú padroni di essi, assume un vero significato culturale in quanto ci porta ad una piú profonda comprensione dell’ uomo. In questa seconda ipotesi, sarà la stessa ricerca umanistica a richiedere di venire integrata come ricerca scientifica».
Quale scienza e quale umanesimo, allora? Davvero è possibile, come di diceva un tempo, l’ «unificazione del sapere»? Torniamo al saggio di Snow. La traduzione italiana del libro diede vita, anche nel nostro Paese, a un acceso dibattito.
In particolare, sul supplemento libri del quotidiano “Paese Sera”, dall’11 settembre al 23 aprile 1964 si susseguirono articoli, analisi, riflessioni su scienza, formazione, società. Tutto raccolto, l’anno seguente, in un libro ancora molto interessante, da Armando Vitelli, che quel dibattito aveva promosso.
Ecco l’intervento di Norberto Bobbio. Un intervento che ha il merito di rimettere in equilibrio il rapporto, spostando leggermente l’asse del dibattito:
«La discussione sulle due culture guadagnerebbe in chiarezza, a mio vedere, se si distinguessero due problemi, che vengono spesso malamente distinti o addirittura confusi: il problema della diversità delle due culture, e il problema del loro confronto.
Altro è, infatti, dire che le due culture sono diverse; altro, che l’una è superiore all’altra. Che le due culture, e con questa espressione intendiamo una volta per sempre la cultura scientifica e la cultura artistico-letteraria, siano diverse, è un dato di fatto assolutamente incontestabile, e sul quale ogni ulteriore discussione sarebbe fiato sprecato, a meno che ci si soffermi ad esaminare — ciò che è estraneo alle ragioni del dibattito in corso — la natura e il significato di questa diversità. Da questa diversità, che rispecchia una differenza di mentalità, forse di predisposizioni, o, come dice bene Moravia, due modi diversi di aggredire la realtà, nasce, e non può non nascere, la ignoranza reciproca. Ma questa ignoranza è tanto naturale, inevitabile e in gran parte irrimediabile che non è neppure più scandalosa. Francamente non mi pare sia il caso di perdere troppo tempo per ragionarci su. Per parecchie ragioni: anzitutto perché le capacità della mente umana singola non sembra siano aumentate proporzionalmente al numero delle nozioni introdotte dallo sforzo congiunto della totalità delle menti umane nei secoli, ragion per cui ciascuno di noi è in grado di conoscere una fetta, sempre più piccola, del sistema del sapere. In secondo luogo è aumentata, con l’analisi sempre più approfondita dei molteplici aspetti della realtà che ci circonda, la tecnicità del linguaggio e quindi la difficoltà di comprensione reciproca, onde non c’è da meravigliarsi che, se, come è stato detto, Voltaire conosceva la fisica di Newton, oggi l’apprendimento della fisica moderna da parte di un letterato sia diventato ben più difficile impresa. Si badi che se queste difficoltà sono aumentate nell’ambito della cultura scientifica, non sono certo diminuite in quello della cultura letteraria: solo alcuni competenti sono in grado, oggi, di capire la musica dodecafonica. In terzo luogo, questo rapporto di reciproca ignoranza non esiste soltanto tra l’una e l’altra cultura, ma anche all’interno stesso di ciascuna cultura.
Mi piacerebbe sapere che cosa Snow, che sembra così sicuro di conoscere la seconda legge della termodinamica, saprebbe rispondere qualora fosse interrogato su un qualsiasi principio fondamentale di psicologia, d’economia o di diritto. Si è tanto convinti, oggi, della realtà e invincibilità di questa ignoranza tra cultori di scienze diverse che si è dato vita, nel campo della ricerca scientifica, all’esperimento delle cosiddette ricerche interdisciplinari. Il rimedio a questa ignoranza non sta dunque nel far imparare più nozioni scientifiche a un letterato, o nel far leggere più opere letterarie a uno scienziato, ma nell’associare i cultori di diverse discipline ad un’opera comune, là dove un problema può essere “aggredito” da diverse posizioni. A questo punto si capisce bene che ciò che può costituire un ostacolo a simile intrapresa non è l’ignoranza, ma la chiusura degli uni verso gli altri. Ora la chiusura è fenomeno ben diverso dall’ignoranza. Ed è il fenomeno sul quale soltanto vale la pena di soffermarsi. Ma la chiusura, appunto, non nasce dalla semplice diversità, ma in seguito ad un confronto, attraverso il quale i rappresentanti di una cultura ritengono che la propria cultura sia superiore all’altra, anzi sia l’unica vera cultura. Altro è constatare che le due culture sono diverse, altro è asserire che una è superiore all’altra, o che delle due culture una è la vera cultura, l’altra è una pseudo-cultura, o non è affatto una cultura. L’asprezza della polemica nasce unicamente da questo atteggiamento. Ho constatato che molti cadono nell’insidia, e lo stesso Snow, dicendo che gli scienziati guardano al futuro e i letterati sono volti al passato, soffia nel fuoco, e rende un cattivo servizio alla causa della riconciliazione che vuole promuovere. In Italia, siamo stati avvezzi per lungo tempo a tenere in minor pregio la cultura scientifica di fronte a quella letteraria; ed ora per reazione c’è chi si lascia sedurre dalla tentazione di invertire le parti. Ora bisogna avere il coraggio di sconfessare energicamente l’una e l’altra posizione. Sono entrambe posizioni assurde e deleterie. Sono posizioni assurde perchè un confronto si può fare solo tra due entità commensurabili. E invece cultura scientifica e cultura letteraria sono incommensurabili, perchè non esiste un criterio comune per giudicare della loro rispettiva validità. Non riesco a vedere quale sia il criterio che ci permetta di confrontare la Gerusalemme liberata col Dialogo sui massimi sistemi, oppure il Doctor Faustus con la teoria della relatività, oppure, per stare all’esempio fin troppo fortunato di Snow, un’opera di Shakespeare con la seconda legge della termodinamica. Un criterio di valutazione presuppone un valore o un sistema di valori cui i due oggetti da valutare possano essere commisurati. Qual è il sistema di valori cui possiamo appellarci per affermare che un’opera letteraria è superiore ad un’opera scientifica, o viceversa? Dall’esame della discussione sinora svoltasi anche in Italia si ha l’impressione che questi valori siano molto generici, e interpretabili da ciascuno a suo modo, quali il benessere dell’umanità, il progresso sociale, lo sviluppo della civiltà o della democrazia, e via discorrendo di questo passo. Sono posizioni deleterie perchè buttano i rappresentanti dell’una e dell’altra fazione allo sbaraglio in uno sterile alterco, quale è quello in cui ciascuno mette innanzi i propri titoli di onore additando i progressisti nella propria schiera e i reazionari nella schiera altrui, mentre è chiaro che si è progres sisti e reazionari secondo la misura dei valori in cui ciascuno di noi crede e dell’impegno che mette per realizzarli nella propria opera, non importa se scientifica o letteraria.
Tutt’al più si deve dire che vi è un diverso modo di essere progressisti o reazionari, nella scienza e nella letteratura. Accetto il suggerimento di Snow di considerare progressista la scienza che si pone al servizio di coloro che stanno in basso e hanno il diritto di salire, degli oppressi, dei poveri, di coloro che hanno fame. Ma anche la letteratura ha, nella stessa direzione, la sua funzione, che è quella di stimolare la nostra immaginazione sino a farci consapevoli della nostra situazione e dei nostri impegni in un mondo in cui vi sono ricchi e poveri, oppressori e oppressi, sazi e affamati. Accetto anche l’altro suggerimento di Snow, di considerare reazionaria la letteratura che in nome della libertà dell’uomo (ma di quale uomo?) condanna in blocco la civiltà industriale e guarda con apprensione alla rivoluzione scientifica. Ma anche lo scienziato ha il suo modo di essere reazionario, che è quello di considerare la scienza e la tecnica come strumento di potenza di un gruppo, di una casta, di una nazione, come un privilegio non come un servizio. Non sarebbe meglio che ciascuno cominciasse a curare i guai della propria casa (posto che siano riparabili) invece di rinfacciare ai vicini le loro malefatte?».