Miseria e povertà: i Colloqui sui poveri di Amintore Fanfani

Marco Dotti
6 min readJul 20, 2022

--

Tra il 1940 e il 1941, quando stese i Colloqui sui poveri,[1] un libro che a suo modo fece epoca, Amintore Fanfani si trovò dinanzi a un problema sociale evidente, ma «non abbastanza considerato»: la miseria. Non, si badi, la povertà di spirito o quella volontaria che tanto avevano affascinato i più ingenui fra gli allievi di Gemelli, ma la miseria nera che impediva e impedisce «la soddisfazione di bisogni nobili o ignobili, tuttavia provati e, quindi, capaci di dar luogo a sensazioni dolorose, se rimasti insoddisfatti».

Dolorosa, invisibile miseria?

Fanfani considera ineliminabile in termini assoluti il problema. Scrive infatti: «i cristiani non possono credere alla possibilità di eliminare totalmente la miseria: essa è un aspetto del dolore» Al tempo stesso, però, gli stessi cristiani non possano esimersi dal tentativo pratico di ridurla:

«Ritenere ineliminabile la miseria dal mondo non esime dal pensare a essa».

In questo pensare la miseria, però, c’è un punto critico molto interessante.

Anche se è sempre esistita, chiosa l’autore, non sempre la povertà è stata miseria. Non sempre, in altri termini, si è presentata nella forma e nei modi della piaga sociale.

Il salto è individuato da Fanfani nel secolo XVI. Prima, scrive, i poveri «non furono parte notevole della popolazione», le loro condizioni «non differivano abissalmente da quelle della comune classe di appartenenza», erano per lo più poveri occasionali e, soprattutto, fra ricco e povero il «distacco spirituale» c’era ma non nei termini in cui nel 1940–41, e ancor più oggi, lo conosciamo. Che cosa è successo, quindi, nel XVI secolo? Tra il XVI e il XVI secolo — rimarca l’allora trentaduenne professore di storia economica — si è prodotto un mutamento economico, sociale, politico in tutta Europa. Un mutamento che ha visto la ricchezza concentrata in poche mani e affievolirsi il senso sociale. Queste condizioni — dette in sintesi — resero permanente la condizione di povertà.

Fu così che:

«all’antico povero per impotenza fisica al lavoro, si aggiunsero le frotte di poveri per impotenza sociale ad assorbire ed utilizzare la capacità di lavoro, e le folle di poveri per malvolere sociale a compensare la fatica in misura tale da non trasformare i lavoratori in perpetui semi-mendicanti».

Milano e i senza tetto

Rileggendo le cronache e le statistiche apprendiamo che, nel periodo 1929–1930, a Milano era stato ammesso all’assistenza farmaceutica e sanitaria gratuita circa l’8,86% della popolazione (77.000 persone), quando Venezia era al 25% e Verona al 16,90. Nella bergamasca Treviglio, nel 1941, il 13,40% della popolazione era iscritto all’elenco dei poveri. Nel 1948, il 7,7% degli italiani era iscritto agli Enti Comunali di Assistenza (ECA), anche se da un’inchiesta pubblicata dal Giornale dei lavoratori, nel luglio del 1945 risultava già che su 10.000 lavoratori italiani, solo il 15,1% riusciva a vivere — e a viverci stentatamente — del proprio salario. Il 91,8%, invece, viveva arrotondando con sotterfugi o consumando i propri risparmi. L’indebitamente era soprattutto con i Monti di Pietà, e il 49,1% degli intervistati affermava di aver venduto oggetti indispensabili per la vita quotidiana, come pentole, lenzuola, reti, pur di far fronte all’incombenza della fame.

In un articolo di Carlo Dacò, dedicato ai “senza tetto” milanesi, apparso nel novembre del 1940 sul Giornale degli Economisti e non sfuggito all’occhio attento di Fanfani si legge che «molti si sono occupati del problema del pauperismo, problema tutt’altro che nuovo che in questo secolo ha raggiunto proporzioni sconosciute, ma quasi tutti sono rimasti nel teorico e nell’astratto». [2] Poco o nulla si sapeva — e si diceva — sui “senza tetto”, sugli indigenti, sui poveri osservati senza la lente del criminologo. È nella chiave di questa “invisibilità” che vanno letti i Colloqui sui poveri.

Torniamo all’articolo di Dacò: nel ’40, a Milano erano attivi tre alberghi notturni per senza tetto: 1) il «dormitorio di via Soave» (sorto nel 1903 come Casa di ristoro dell’Ente comunale di assistenza); 2) il «dormitorio di via Colleta» (sorto nel 1905 come Dormitorio popolare Luigi Buffoli); 3) il «dormitorio di via P. Sottocorno» (sorto nel 1884 come Asilo notturno gratuito femminile Lorenzo e Teresa Sonzogno).

Nel 1939, i tre dormitori “servivano” 1522 frequentatori a notte. Scrive Dacò:

«Gli asili notturni sono una specie di “porto di mare in terra ferma”. Ad essi affluiscono persone d’ogni condizione ed età. A volte il direttore del dormitorio scorrendo le carte presentate da un nuovo cliente, scorge che esso è un nobile od un laureato, altre volte viene presentata come carta di riconoscimento la tessera dell’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia. Come mai costoro cadono cosi in basso? Non è possibile dare una risposta esatta, ma nella maggior parte dei casi la causa va ricercata in condanne penali e, per alcuni, in disastri finanziari. (…) Ci sono poi idissestati. Sono in gran parie piccoli commercianti, rivenditori al minuto, rappresentanti di commercio. Falliti, perdono tutto o gran parte della loro sostanza e, presto o tardi, si trovano senza soldi e, quel che è peggio, senza un mestiere».

La mano visibile del capitalismo senza spirito

La miseria, per Fanfani, futuro Presidente del Consiglio e dirigente della Democrazia Cristiana, nel ’41 ancora e solamente professore di storia economica all’Università Cattolica di Milano, si qualificava come povertà forzata. Un problema ai suoi occhi ineliminabile in termini assoluti, ma dinanzi al quale era necessario «riacquistare il senso di realtà». Pochi anni prima, era stato lo scrittore francese Henri Daniel-Rops a dar voce a questa inquietudine, tra le pagine de La miseria e noi.

Una chiave importante, per la lettura del fenomeno, venne a Fanfani dai suoi studi su uno snodo cruciale per la comprensione del tempo presente: il passaggio dall’economia medievale, ancora tutta compresa secondo Fanfani dentro le regole della teologia e della morale fissate da San Tommaso d’Aquino e l’economia capitalistica moderna. I Colloqui sui poveri sono opera di sensibilizzazione, più che di ricerca. Ma altrove Fanfani aveva dedicato tempo e spazio a questo snodo.

Due concezioni della ricchezza e dell’uomo sono in gioco in questo passaggio. Passaggio che porterà Fanfani a criticare — in particolare nei lavori pubblicati rispettivamente nel 1933 e nel 1934: Le origini dello spirito capitalistico in Italiae Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo — la teoria di Max Weber sull’origine dello spirito del capitalismo. Per San Tommaso fondamentale era il richiamo al “giusto mezzo” e le ricchezze e i beni erano da lui considerate non qualcosa di intrinsecamente malvagio, al contrario. Purché queste ricchezze e questi beni restassero quello che erano: mezzi, non fini.

Fondamentale era dunque la nozione di limite. Ma che cos’è un limite in rapporto alla ricchezza e all’arricchimento? Limite, scrive Fanfani, è la corrispondenza tra ricchezze acquistate e bisogno. Ritorna ancora la lezione dell’aquinate: Fanfani indica la cesura fondamentale del premoderno e precapitalista, rispetto all’uomo moderno e capitalista proprio nella dimenticanza del limite applicato al superfluo. Il moderno è capitalismo anti-umano, quando vede la ricchezza come mezzo, trasformandolo inesorabilmente in fine. Anche se, ribadisce Fanfani, l’uomo «può acquistare quanto vuole, ma non può godere quanto vuole». E questo limite al contempo rimosso e invalicabile crea i presupposti per una catastrofe antropologica.

Questo mutamento dello spirito economico modifica la visione di vita e, quindi, decentra il rapporto mezzo-fine nella modernità. Una modernità che ha decentrato anche il suo rapporto con l’altro e con quell’inferno, rispetto al presunto paradiso della ricchezza, che è la povertà. È a questo svincolamento dal fine ultimo della dignità dell’uomo, non all’intrapresa o alla ricchezza in quanto tali, che Fanfani ritiene di dover applicare la propria critica.

Fonte: Vita non profit, 2 luglio 2014

Note

[1] Amintore Fanfani, Colloqui sui poveri, Vita e pensiero, Milano 1942. Per collocare e problematizzare lo scritto di Fanfani, cfr. Agostino Giovagnoli, Le premesse della ricostruzione. Tradizione e modernità nella classe dirigente cattolica del dopoguerra, Nuovo Istituto Editoriale Italiano, Milano 1982, p. 102–106.
[2] Carlo Dacò, “Chi sono e come vivono i ‘senza tetto’ milanesi”, Giornale degli Economisti e Annali di Economia , Nuova Serie, Anno 2, №11/12 (novembre-dicembre 1940) , pp. 764–780.

--

--

Marco Dotti

Propaganda ends when dialogue begins: research on #ethics #art #communication at @unipv