Quale “vita” difendiamo quando difendiamo la vita?

Abbiamo sacrificato tutti i valori liberali per «difendere la vita»: libertà di movimento, di manifestazione, di opinione. In questo contesto, spiega l’antropologo Didier Fassin, «la vita che si difende è la vita fisica, il fatto di essere vivi, senza mai menzionare la vita piena dell’essere umano»

Il potere e la nuda vita

Si parla sempre più di quell’intreccio tra potere sovrano e vita nuda, integralmente esposta all’arbitrio di quel potere, che variamente denominiamo biopolitica. Questo è anche il tema del suo ultimo libro, uscito nel giugno del 2019, prima della pandemia: Le vite ineguali. Quanto vale un essere umano? (Feltrinelli). Alla luce di Covid-19, possiamo dire che la pandemia ha approfondito le disuguaglianze e mostrato la radice biopolitica dei nostri sistemi?
L’epidemia di Covid rappresenta un punto di svolta nel rapporto con la vita nelle società contemporanee, in particolare, ma non esclusivamente, nel mondo occidentale. Per la prima volta nella storia dell’umanità, la vita è diventata il bene supremo da difendere. Per proteggerla, non abbiamo esitato a sacrificare sia i valori più fondamentali del pensiero liberale, come la libertà di muoversi, di lavorare, di manifestare, sia i dogmi più solidi della dottrina neoliberista, come quelli sanciti dalla dottrina neoliberale delle regole europee sui deficit di bilancio o sugli aiuti pubblici.

La domanda che mi pongo non è: come viviamo? E neanche: come dovremmo vivere? Mi chiedo piuttosto quale valore attribuiamo alla vita come nozione astratta. E quale valutazione facciamo delle vite umane come realtà concrete

Didier Fassin

Ma due riserve devono essere fatte su questa analisi. Da un lato, la pandemia ha rivelato che non tutte le vite sono uguali. Negli Stati Uniti, le popolazioni di colore sono risultate essere due volte più contaminato e muoiono a un tasso tre volte superiore rispetto alle popolazioni bianche, e differenze simili sono state trovate altrove nel mondo a spese delle minoranze etniche e della categorie popolari.

Oggi le vite umane non si equivalgono. Occuparsi della vita dal punto di vista della disuguaglianza è una necessità etica e politica

Didier Fassin

La ragione umanitaria

In questo scenario, non solo le libertà, ma anche la ragione umanitaria (tema a cui ha dedicato un altro, importante lavoro: Ragione umanitaria. Una storia morale del presente, DeriveApprodi, 2018), sembra essere stata sospesa. Nessuno parla più della vita all’infuori della cornice del Covid. Come se lo spiega?
Se per ragione umanitaria intendiamo una forma di governo dei vulnerabili che fa ricorso ai sentimenti morali, e in particolare alla compassione, vediamo che le cose sono complesse. Ci sono stati sforzi letteralmente straordinari per proteggere i più biologicamente vulnerabili, cioè gli anziani e, in una certa misura, quelli con condizioni ad alto rischio.

Pensare contro il populismo

Proprio per la torsione biopolitica che stiamo vivendo, la questione umanitaria non dovrebbe tornare al centro del dibattito?
Più che la ragione umanitaria, è la questione della giustizia sociale che dovrebbe essere rimessa al centro del dibattito.

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Propaganda ends when dialogue begins: research on #ethics #welfare #communication at @unipv. Editorial director at @EMI_libri

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Marco Dotti

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