Tikkun: comunità, costellazioni
In un volume collettivo, le ragioni di un’idea carica di futuro
La comunità è questione di tracce. Tracce che arrivano dal passato, interrogando il presente. Tracce disperse e ritrovate nel presente che dal presente, all’improvviso, proiettano un’altra luce sul passato.
Quali tracce di comunità nel presente? Quali, mentre crediamo (altra pia illusione?) di averne riscoperto il senso (quale senso?) durante i giorni più duri della pandemia…
Rovesciamo la domanda, ancorandola al futuro.
Quale comunità è possibile, là dove finiscono le tracce?
Forse una comunità è possibile solamente quando finiscono le tracce…
Pascal Quignard ha coniato una bella definizione: comunità dei solitari. La solitudine non è isolamento, divisione, frattura. È solitude - spazio fatto e lasciato a nuovi legami: Oh solitude, my sweetest choice, Henry Purcell -, non loneliness ossia desertificazione di ogni legame.
Una comunità di questo tipo - osserva Quignard - ha sospeso il giudizio sul proprio tempo. Non per conformismo o pigrizia. Per far esistere qualcosa. Cosa? Una comunità a venire, appunto.
Suggerisce Quignard:
Quaesivi in omnibus requiem, et nusquam inveni nisi in angulo cum libro. Traduco così: ho cercato dappertutto in questo mondo il riposo – requiem –, un abbandono, una pausa, e da nessuna parte li ho trovati se non in un angolo con un libro
Un libro. Una comunità. Una traccia. Tutto qua.