Zamagni: “Davanti a una situazione critica l’individuo non può nulla e i governi hanno armi spuntate”
«Servono risorse morali e sociali che solo la società civile organizzata può dare al Paese». Per questo, spiega il professor Stefano Zamagni, «finito il clamore, la gente sarà costretta a rinsavire e a chiedersi: dove stiamo andando?»
Originally published at http://www.vita.it on February 27, 2020.
Aporofobia è una parola che dà nome a una paura e, al tempo stesso, rende evidente il vicolo cieco in cui si stanno perdendo le società “meritocratiche”. Formata dal prefisso greco aporos, “povero, privo di risorse”, e dal suffisso fobia, “avversione, rifiuto” il termine definisce un sentimento sempre più diffuso nei sistemi di democrazia avanzata: rifiuto dei poveri, degli indifesi, di chi non ha via d’uscita, di chi non ha mezzi e risorse.
Nel 2017, la Fundación del Español Urgente, una non-profit promossa dalla Accademia Reale di Spagna che ha lo scopo di promuovere il corretto uso della lingua nei media, ha decretato aporofobia parola dell’anno.
La filosofia Adela Cortina Orts, che al tema ha dedicato un numerosi lavori (su tutti: Aporofobia, el rechazo al pobre, Ediciones Paidós Ibérica, Barcellona 2017), ha descritto questa tendenza come un misto tra un atteggiamento di superiorità e colpevolizzazione: le ricadute sono sul povero, che viene sempre più portato al centro del discorso politico proprio in quanto povero. “L’avversione è verso tutti i poveri, compresi quelli della propria famiglia, ed è cresciuta col discorso sui migranti economici”, spiega Cortina, che aggiunge: la tradizionale xenofobia è diventata, a un certo punto, aporofobia. Anche il migrante non è temuto in quanto tale, ma in quanto “migrante povero”.
A portare l’attenzione sulla tendenza “aporofobica” dei nostri sistemi è stato, di recente, il professor Stefano Zamagni, al quale non è sfuggito il legame con l’ ideologia meritocratica. E, oggi, con il panico sociale che si sta generando da una gestione quanto meno contraddittoria dell’ emergenza coronavirus.
Cosa accade, oggi, in giornate segnate da irrazionalità e panico sociale, quando non solo bar e teatri, ma mense sociali, dormitori, dispensari di cibo per i più poveri si trovano a chiudere o a fare i conti con una maglia più burocratica che sanitaria sempre più stretta?
Dobbiamo prenderla da lontano e ricordarci che, nel passato, nei confronti del povero, inteso in senso ampio, c’era una sorta di commiserazione. Una commiserazione che, ovviamente, non faceva giustizia ma, quanto meno, godeva di una minima considerazione. Oggi, non solo il povero non è aiutato a uscire dalla propria condizione ma viene addirittura disprezzato. Per questa ragione il concetto di aporafobia va legato a meritocrazia. L’ideologia meritocratica ha generato la paura del povero e la sua riduzione a mero oggetto di riprovazione. E, oggi, a contatto con un’altra paura davvero irrazionale questa riprovazione esplode all’ennesima potenza.